sabato 17 aprile 2010

Gli occhi di Pasternak


Il mondo, Pasternak lo guardava attraverso la cura dell'orto, le finestre spesse della sua dacia, il premio nobel rifiutato, i gerani che lui amava, una malattia dovuta alla grande sofferenza di un uomo geniale ma messo a dura prova da un ambiente a lui vicino ostile, cupo, volgare. Lo guardava, il mondo, anche attraverso la sua televisione; le immagini in bianco e nero che uscivano dal piccolo schermo erano ingrandite dall'acqua che andava versata nell'intercapedine della doppia placca di plastica posta sul fronte.



Aprire una finestra è come aprirsi una vena.

In ogni cosa ho voglia di arrivare sino alla sostanza. Nel lavoro, cercando la mia strada nel tumulto del cuore. Sino all'essenza dei giorni passati, sino alla ragione, sino ai motivi, sino alle radici, sino al midollo. Eternamente aggrappandomi al filo dei destini, degli avvenimenti, sentire, amare, vivere, pensare effettuare scoperte.

Sei l'ostaggio dell'eternità, un prigioniero del tempo.

L'arte è una spugna deve succhiare e lasciarsi impregnare. Deve sempre essere in mezzo agli spettatori e guardare ogni cosa con una purezza, una ricettività, una fedeltà sempre più grandi.

L'arte non è pensabile senza rischio e sacrificio spirituale di sè.

L'uomo è nato per vivere, non per prepararsi alla vita.

Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno mai inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore, a loro non si è svelata la bellezza della vita.

Il tempo è un grande maestro. Peccato che uccida tutti i suoi allievi.

Perdere la fanciullezza è perdere tutto. È dubitare. È vedere le cose attraverso la nebbia fuorviante dei pregiudizi e dello scetticismo.

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